Car* amic*,
pensando (come già accennato in un'altra area del blog)
a una comunicazione educativa concepita come plurisemantica - in grado di cogliere tutte le dimensioni
dello sviluppo personale, sia come acquisizione di saperi che come adattamento
sociale e professionale … nella quale l’azione regolativa delle variabili personali e culturali e delle
variabili sociali e storiche sia preminente sul nudo sapere … una comunicazione
che si faccia progetto educativo orientato
non più solo sulla cultura, ma anche sul lavoro e la professione, perché sono
tutte componenti realizzativo-trasformative del sé (quindi dell’individuo in quanto identità,
differenza, capacità, partecipazione civile) e del suo futuro (benessere
economico, affetti, ecc.) – ho trovato
interessante questo articolo sull’Empowerment, pubblicato da Giuseppe Burgio nel 2003 all’interno del
volume “Lessico
oggi: orientarsi nel mondo che cambia”, testo quest'ultimo che pone l’accento sul linguaggio e
sulla sua capacità non solo di descrivere il mondo, ma di far emergere l'ordine
della realtà e della vita sociale, tale per cui le nuove parole che nascono e
si diffondono nel discorso corrente (come per l’appunto “empowerment”) aiutano
a identificare caratteristiche importanti di un’epoca, tanto più se in rapido
cambiamento come la nostra.
Il concetto
di empowerment riesce a cogliere e sintetizzare l’essenza
caleidoscopica della comunicazione educativa com’è o come dovrebbe essere, dagli
istituti scolastici dei nostri giovani ai luoghi di lavoro, dalle comunità alle
associazioni …
Mi ha colpito particolarmente questa bella frase dell’autore (nel paragrafo dedicato al
contesto politico), che qui riporto “Nel termine stesso
empowerment è nascosta una parola ingombrante: potere (power). Non è il potere
che siamo abituati a conoscere. Piuttosto che all'accezione comune di avere
«potere su» qualcosa o qualcuno, bisogna pensare a un potere inteso come capacità personale,
forza, energia, autopotenziamento, incremento delle proprie possibilità, il
«potere di» fare, di essere. Questo «potere di» è contemporaneamente
improntato all'emancipazione dell'altro, alla solidarietà e all'interdipendenza
con l'altro, è immediatamente un «potere con» l'altro.… Mi ha fatto andare con il pensiero alla
pedagogia del brasiliano Paulo Freire (ma si potrebbero citare anche Don
Milani, Dolci, Capitini), autore che apprezzo moltissimo, grande pedagogo “di rottura”, con la determinazione etica -
teorica ed esistenziale - della sua azione e del suo pensiero, il quale riteneva
che un percorso pedagogico dovesse essere contraddistinto da un orizzonte
teleologico e finalità irrinunciabili di umanizzazione, un’educazione concepita come dialogo fra gli
“attori di umanizzazione”, la diversità vista
come sorgente di dialogo, l’educazione al contempo come riflessione pedagogica
e pratica dell’educazione improntata al dialogo per dare a tutti (con un’attenzione
“agli ultimi”) possibilità e strumenti per difendersi da soli
in un’ottica di cittadinanza attiva, per acquisire coscienza critica. Freire asseriva che la vocazione dell’essere
umano è quella di “essere di più” (superando
la sua incompiutezza) e a questo deve mirare la comunicazione educativa, cioè a sostenere/promuovere la vocazione al miglioramento intrinseca nell’essere
umano, che non deve essere mortificata:
l’uomo è un “progetto”, un essere che cammina in avanti , oltre se
stesso, verso l’umanizzazione, verso “l’essere di più”…
E la
definizione di Burgio sulla solidarietà, l’interdipendenza (un
empowerment, quindi, scevro di sopraffazione), mi ha fatto riandare nuovamente
a Freire
quando parlava della necessità di
impostare relazioni realmente finalizzate
a “dare un nome
al mondo”
e
chiariva che “il
dialogo è questo incontro di uomini, attraverso la mediazione del mondo, per
dargli un nome, e quindi non si esaurisce nel rapporto io-tu». Hanno rieccheggiato nella mia mente anche le
parole del prof. Munari quando esortava al “vita tua, vita mea” (in contrapposizione alla logica “mors tua,
vita mea”) quale richiamo alla responsabilizzazione gli uni verso gli altri,
alla solidarietà, alla co-attorialità,
al legame intrinseco che ci
unisce nell’ottica di un progresso “sostenibile”; e infine mi ho pensato anche alle riflessioni
fatte da Bauman nel
suo libro intitolato “La società individualizzata”
in cui ha evidenziato le pecche di una vita
sociale costituita da “individui sempre più individualizzati”.
Nell’articolo
di Burgio ho trovato molto interessante anche la sua declinazione del termine
di Empowerment nei diversi domini in cui
trova applicazione, che sono poi tra loro correlati secondo un approccio olistico
all’individuo e alla comunità. Fermi restando i tratti essenziali - “empowerment
definibile come l'insieme di conoscenze, abilità relazionali e competenze che
permettono a un singolo o a un gruppo di porsi obiettivi e di elaborare
strategie per conseguirli utilizzando le risorse esistenti, esperendo la sensazione di poter compiere
azioni efficaci per il raggiungimento di un obiettivo, e il controllo, la
capacità di percepire l'influenza delle proprie azioni sugli eventi”
e ancora “L'empowerment
è strettamente connesso al concetto di cambiamento.. .L'empowerment è, insomma,
una tecnica per (ri)prendere in mano il controllo della propria vita, una
modalità per progettare ed agire con efficacia e realismo, ma, soprattutto,
rappresenta un nuovo approccio epistemologico, una nuova pensabilità del
cambiamento - per il singolo, per il gruppo, per la società - all'insegna non
della ricerca della soluzione migliore, ma dell'aumento delle possibilità,
delle scelte, della libertà” - l’autore
analizza il termine nell’ambito Politico,
in quello Psicologico (facendo
un richiamo specifico alla fasce deboli; questo rimanda al Digital Storytelling che il
nostro gruppo sta elaborando e che vorremmo focalizzato sull’esperienza
edu-comunicativa in una casa-famiglia volta proprio a mettere i soggetti nelle
condizioni di acquisire maggiore sicurezza in sé e nelle proprie capacità di
agire in modo costruttivo e socialmente inclusivo); nel contesto dell’Organizzazione aziendale, coniugando il concetto di empowerment al
plurale (...purtroppo, ahimé, è un ambito in cui temo che l’Autore troverà
scarso seguito, a giudicare dalla “svalorizzazione” delle risorse umane che purtroppo
viene fatta in molti contesti lavorativi e non solo!!), e in quello della Formazione.
Vi avrò
annoiata ? … se così non fosse, ecco di seguito il link al testo di Burgio.
"EMPOWERMENT" di Giuseppe Burgio
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